Nell’attuale panorama europeo è considerato fondamentale aumentare la quota di energie rinnovabili utilizzate per la produzione di energia elettrica. L’obiettivo, infatti, è quello di ridurre sul lungo termine le emissioni inquinanti e/o climalteranti che derivano in larga parte dall’utilizzo di combustibili fossili. Secondo il piano elaborato dal governo tedesco, ad esempio, la quota di energie rinnovabili da utilizzare dovrebbe essere pari al 35% nel 2020, fino ad arrivare all’80% nel 2050 (Consorzio italiano biogas, 2012b). Sebbene le fonti energetiche rinnovabili maggiormente utilizzate siano costituite dall’eolico e dal solare, esse risultano non programmabili e dunque “intermittenti”. In questo contesto, l’utilizzo del biogas prodotto mediante digestione anaerobica di materiale organico fornisce una prospettiva molto interessante, dato che esso è una fonte continua di energia a differenza delle altre due. In particolare, di recente l’interesse si è rivolto alla purificazione del biogas per ottenere biometano, avente più alto potere calorifico. Il biometano, inoltre, può fungere da combustibile per autotrazione, contribuendo al soddisfacimento degli obblighi normativi per l’immissione in consumo annuale di biocarburanti, volta alla diminuzione delle emissioni di gas serra.
Il biogas è il frutto della degradazione, in assenza di ossigeno (processo chiamato digestione anaerobica) di varie sostanze organiche ad opera di numerosi batteri. L’energia racchiusa nei legami chimici è poi rilasciata e immagazzinata principalmente in metano (CH4) il quale, assieme all’anidride carbonica (CO2) è il principale costituente del biogas. Altre sostanze presenti in minor percentuale sono ossido di carbonio, azoto, idrogeno, idrogeno solforato. Il biogas possiede un alto potere calorifico e può essere convertito in elettricità e calore. Il residuo della fermentazione è il digestato, un materiale completamente inodore e ad altissimo valore agronomico, con caratteristiche migliorative rispetto al materiale di partenza.
Il biogas è indicato dall’U.E. tra le fonti energetiche rinnovabili non fossili che possono garantire non solo autonomia energetica, ma anche la riduzione graduale dell’attuale stato di inquinamento dell’aria e quindi dell’effetto serra.
Il processo di trasformazione della biomassa, che avviene in modo spontaneo e naturale, sta alla base dello sviluppo di una filiera che si è affermata come opportunità per produrre energia rinnovabile, in modo sostenibile e a totale integrazione territoriale, migliorando l’impatto sull’ambiente degli effluenti di allevamento, trasformandoli in fertilizzanti rinnovabili, nobilitando al ruolo di “risorsa” i sottoprodotti dell’attività zootecnica e agroindustriale e stimolando l’innovazione agronomica finalizzata alla coltivazione di prodotti di integrazione a fini energetici.
Il numero di impianti di biogas in Europa nell’ultimo decennio è cresciuto in maniera esponenziale. Tra il 2009 e il 2016 è quasi triplicato, passando da 6.227 a 17.662 unità, e la crescita è stata particolarmente intensa soprattutto dal 2010 al 2012. Un simile sviluppo è attribuibile all’aumento del numero degli impianti a matrice agricola, passati dalle 4.797 unità del 2009 alle 12.496 del 2016, che sono in assoluto i più numerosi. A seguire, gli impianti che convertono i fanghi di depurazione (2.838), i rifiuti urbani (1.604) e altri tipi di scarti (688).
Figura 1: Evoluzione degli impianti di biogas in Europa – EBA Statistical Report 2017
La Germania è lo stato europeo ad aver investito maggiormente nella costruzione di impianti a biogas, per un totale di 10846 al termine del 2015. Si tratta principalmente di installazioni di tipo agricolo, seguiti da impianti per il trattamento di liquami fognari, e infine per il trattamento di rifiuti o derivanti da scarti di altro tipo. L’Italia è al secondo posto con installazioni di tipo prevelarmente agricola (circa 80%).
Figura 2: Distribuzione degli impianti a biogas nei vari Paesi europei al termine del 2015 (EBA, 2016)
Il motivo principale che ha permesso un forte sviluppo della digestione anaerobica in Italia è legato alla capacità di questa tecnologia di integrarsi nel tessuto agricolo esistente. Il biogas è, infatti, una filiera “riciclona” ed efficiente nell’uso del suolo agricolo, in grado di utilizzare non solo biomasse vegetali ma anche effluenti zootecnici, sottoprodotti agricoli e agroindustriali per l’alimentazione degli impianti.
Per meglio comprendere il rapporto tra costi e benefici del settore è necessario effettuare alcuni approfondimenti. Nel 2011, il settore del biogas agricolo, per una potenza installata di quasi 250 MW, è costato ai consumatori quasi 400 milioni di euro assestandosi ad un onere medio per famiglia di circa 3 euro all’anno; in pratica il settore del biogas ha impegnato solo il 5% del totale delle risorse che il consumatore italiano ha reso disponibile per lo sviluppo dell’elettricità rinnovabile. In cambio l’elettricità da biogas ha prodotto quasi 2 TWh di energia sufficienti a coprire il fabbisogno di più di 700.000 famiglie, vale a dire l’equivalente di più di 1.500 MW di produzione fotovoltaica.
Figura 3: Rappresentazione schematica della filiera biogas. (Fonte: AA.VV. Elab. CIB, 2012)
Tali impianti permettono di recuperare gli scarti dell’attività agricola e i reflui delle attività di allevamento. Questi scarti e reflui, che altrimenti non avrebbero modo di essere utilizzati e sarebbero quindi semplicemente gettati, vengono trasformati in biogas, un combustibile ecosostenibile al cento per cento, che può essere utilizzato sia per la produzione di energia elettrica che per la produzione di energia termica. Dunque le aziende agricole e zootecniche possono sfruttare prodotta per il proprio sostentamento, rendendo così l’azienda indipendente energeticamente oltre che ecologica. Non solo, possono vendere l’energia non auto-consumata immettendola in rete attraverso un sistema di scambio sul posto. Infine possono sfruttare il digestato, un ammendante naturale ottimo per l’utilizzo come fertilizzante per le coltivazioni.
Con l’adozione del Decreto Ministeriale del 2 marzo 2018 (entrato in vigore il 20 marzo 2018) è stato fatto un passo fondamentale per lo sviluppo del settore del biogas/biometano, in particolare per il settore agricolo. Il nuovo decreto mira a dare un concreto impulso allo sviluppo del biometano focalizzandosi su un ambito di intervento ritenuto prioritario per il sistema nazionale, ossia il raggiungimento del target di biocarburanti da utilizzare nel settore dei trasporti entro l’anno 2020. Prima di ogni altra cosa, vale la pena ricordare come il settore del biogas esprima un potenziale produttivo di gas rinnovabile al 2030 di 10 miliardi di Nm3di biometano, di cui 8 miliardi da matrici agricole e 2 miliardi ottenibili da rifiuti organici selezionati e da fonti non biogeniche e da gassificazione. Il potenziale agricolo è ottenibile dalla destinazione energetica di non più di 400.00 ettari di superficie agricola utilizzata (SAU) a colture di primo raccolto (3% SAU nazionale), dalla valorizzazione di effluenti zootecnici, da sottoprodotti agro-industriali e dall’inserimento di secondi raccolti o colture di integrazione in circa il 6% della SAU nazionale a seminativi.
Si può osservare che, a differenza di altri settori, l’evoluzione del settore biogas/biometano è prevalentemente supportata dall’industria nazionale con ricadute positive in termini di occupazione stabile nel nostro paese. In particolare, la produzione di biogas attraverso la digestione anaerobica è una modalità di gestione dell’energia che va ben oltre il semplice concetto di bioenergia. La produzione di biogas/biometano è uno degli anelli di una catena ben più complessa che, partendo dalla gestione dell’uso del suolo, pervade numerose componenti della produzione di beni provenienti dal settore agricolo. La produzione di biogas/biometano, differentemente dalla semplice bioenergia, attraverso l’introduzione di nuovi modelli di gestione è suscettibile di rilevanti efficientamenti nel tempo.
L’Italia con il decreto interministeriale (MiSE e Mipaaf) del 2 marzo 2018 ha fatto un altro passo per la valorizzazione delle fonti di energia rinnovabile di origine agricola in Italia, importanti per la transizione nazionale verso fonti di carburante maggiormente rispettose dell’ambiente. Ha previsto un fondo di 4,7 miliardi di euro per il sostegno degli impianti di produzione e di distribuzione di biometano e biocarburanti avanzati che entreranno in esercizio tra il 2018 e il 2022.
Il nuovo decreto prevede:
- L’ampliamento del periodo di accesso agli investimenti oltre il limite precedente del 2020. In questo ambito sono stati ribaditi e rafforzati gli obiettivi di immissione in consumo di biocarburanti avanzati con un percorso di crescita nel tempo già delineato e che porterà a superare gli indicatori fissati in sede europea.
- L’aumento delle garanzie di remunerazione degli investimenti, attraverso un meccanismo di “ritiro” dei Certificati di immissione in consumo, Cic, da parte del Gse ad un prezzo prefissato. Questo meccanismo consentirà anche alle imprese agricole di investire nella produzione di biometano da reflui zootecnici e sottoprodotti delle attività agricole.
- Il miglioramento delle prospettive per la riconversione a biometano di impianti di biogas.
- L’inserimento di nuove prospettive di utilizzo del biometano sotto forma di Gas naturale liquefatto, Gnl, che può contribuire ad un ulteriore incremento del mercato del gas nel settore trasporti.
Da quanto illustrato è facile intuire come nel settore agricolo la produzione di energia dal biogas/biometano rappresenta una grande opportunità imprenditoriale. Infatti, grazie alla valorizzazione di sottoprodotti agricoli ed effluenti zootecnici è possibile apportare un valore aggiunto alla filiera produttiva agricola, supportati anche da strumenti di incentivazione nazionali ed europei.
Fonte: di ing. Donato Stefano Parente
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