“Una grande donna. Che si è sacrificata per la sua famiglia, l’assistenza alla madre e la crescita delle nipoti, ma che ancora oggi segue tutto quello che avviene a parenti anche lontani ed amici. Sempre animata dalla fede…”. Chi la conosce bene così descrive Fiorinda Grippa. (foto sotto con le nipoti) Fiorentina lo è per l’anagrafe, Fiorinda l’hanno chiamata così tutti, quasi a partire dal 22 dicembre del 1909 quando nacque tra Falagato ed il Feo, terre fertili d’estate e veri e propri acquitrini d’inverno.
Ora nonna Fiorinda, circondata dalle tre nipoti Antonietta, Lucia e Gerardina Guarino, è arrivata e ha superato il secolo di vita. “Ha voluto bene a tutti ed ora vorrebbe far partecipi non solo i parenti ma le tante persone che ha sempre frequentato, a partire dai medici che la curano”, aggiunge la nipote Antonietta. Ricorda la sua giovinezza Fiorinda, trascorsa a lavorare sulle terre del barone Ricciardi, al “Varrizzo”, ovvero Ponte Barizzo, come accadeva a tante famiglie di Altavilla ed Albanella. “Io, siccome ero la più piccola andavo a prendere l’acqua da bere al Brecciale.
Mio fratello Luigi conduceva i buoi. Con mio padre, mia madre e mia sorella si lavorava tutti uniti.
Zappuliavamo il grano. Cantavamo o ci raccontavamo i cunti della Madonna. Poi a sera si tornava con l’asino”. Mattina e sera a piedi, dalla Piana d’Altavilla fino a Capaccio, per almeno due ore all’andata ed altrettante al ritorno, sull’asino si portavano piccole some. Sono gli anni terribili della Grande Guerra, tutto è requisito o requisibile, i giovani sono tutti lì a farsi massacrare nell’inutile strage, come la chiamerà il Papa di allora. A questo si aggiunge la “Spagnola”, la terribile epidemia che farà – solo in Italia – altre centinaia di migliaia di morte. Non tornerà dal fronte intorno al Piave suo suocero Antonio, “ci dissero morto a Gorizia, ma chissà”, ricorda, e si commuove, Fiorinda. Chiede alle nipoti di far vedere la medaglia. La Guerra finisce e la vita ricomicia. Fiorinda non va a scuola, “da noi non c’erano maestri”, ricorda oggi, ma è più probabile che non ci fossero solo per le bambine del tempo. E’ diseducativo farle imparare a scrivere perché poi potranno scrivere ai futuri fidanzati, si diceva.
La svolta.
Una volta all’anno, alla festa della Madonna della Neve, Falagato e il Feo diventavano affollatissimi. I fedeli non scendevano solo dalle colline di Altavilla, ma anche dai paesi dell’entroterra, soprattutto Castelcivita. L’eco del ritrovamento della statuina, a seguito del prodigioso sogno di Antonio Di Masi, è ancora vivo. Le cronache del tempo parlano di decine di migliaia di persone che accorrono. E di scavi spontanei alla ricerca di reperti religiosi, segue un processo a danno dei parroci altavillesi che non smentiscono il miracolo. Tra tutte queste persone c’è un giovane alto e con gli occhi azzurri che con determinazione non ha voluto fare più il contadino ma è un provetto muratore e carpentiere. Si chiama Rosario Garofalo, ha anche studiato ed ha modi assai distinti. Fiorinda se ne innamora e decide che quello è l’uomo della sua vita. “Anche perché, pensai, questo ha un mestiere e possiamo costruirci più facilmente la casa”. Rosario, ovviamente, capitola di buon grado.
La giovinezza
Casa, famiglia e lavoro nei campi. Questa fu la vita di Fiorinda durante gli anni Trenta. Nel 1932 arriva l’unica figlia, Carmelina. La bambina è molto studiosa e le sue pagelle piene di bei voti sono gelosamente conservate. La guerra, arrivata nel suo pieno svolgimento nel 1941, si prenderà Rosario. Dai fronti di combattimento però trova il modo di scrivere quasi ogni giorno alla moglie: sa che ci sarà Carmelina a leggerle a Fiorinda. Fatto prigioniero dagli Alleati viene trasferito, per oltre due anni, ad Orano, in Algeria. E Rosario continua a scrivere a Fiorinda e Carmelina le legge e le comprende.
Il dopoguerra
La Guerra finisce, Rosario torna a casa e la vita della famiglia Garofalo riprende a scorrere serena. La ricostruzione prima ed il boom economico dopo rendono la professione di mastro Rosario molto richiesta ed anche discretamente redditizia. Ed arrivano gli agi: “Una bella casa. Il primo frigorifero, il primo apparecchio televisivo. Le nipotine”. La vita scorre tranquilla. Rosario ogni domenica va in paese e porta in dono alla moglie qualche dolce di Verrone, gli compra i collant di nylon. Ogni mattina è lui che gli porta il caffè a letto. Tenerezze e la dimostrazione di un amore profondo che a quei tempi era molto inconsueto. Il destino però ha deciso diversamente. Carmelina si ammala, e giovanissima, a soli 42 anni, si spegne. Ha anche tre bambine. Un dolore immenso, indescrivibile ed incommensurabile. Ed è qui che Fiorinda tira fuori la sua grande forza d’animo. Dopo aver assistito per sei anni sua madre si ritrova a prendersi cura delle sue uniche nipoti. “Me la ricordo camminare con quella sua cesta portata sulla testa, con dentro di tutto, e l’asino per i carichi pesanti”, ricorda Antonietta.
La vecchiaia
La lascia anche Rosario, il suo compagno di vita, quando ha ottant’anni. Ed anche Fiorinda comincia ad essere soggetta a malanni molto seri. Tumori e cardiopatia, per dire. Ed ogni volta, smentendo le pessimistiche previsioni mediche Fiorinda ce la fa. Ha l’appuntamento con il secolo di vita da toccare. E la piccola, adorabile, debolezza per tutto ciò che è bello e che vede indossato dai più giovani. “Si tiene aggiornata”, commenta una delle nipoti. L’aver opposto l’amore alle traversie che non l’hanno risparmiata, le più dolorose per una madre, è forse il segreto di “Nonna Fiorinda”, che idealmente rappresenta tutte le donne d’Altavilla.
di Oreste Mottola
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