In arrivo un’altra stangata per i cittadini e i proprietari di case: ritorna la Tassa di Scopo.
Nella concitazione del momento dovuto all’ingarbugliata decifrazione di quanto pagare con la nuova tassa IMU – prima ridotta all’aliquota base, poi rateizzata, ma senza sapere ancora quanto tocca pagare complessivamente – a molti è sfuggita una norma introdotta all’ultimo momento nel Decreto sulle Semplificazioni (Legge 4 Aprile 2012 n. 35). A molti, ma non ad alcuni cronisti del quotidiano La Repubblica che, spulciando nelle voluminose ed intricate norme della nuova legge, hanno scoperto il colpo di mano e proprio in queste ore stanno diffondendo la notizia on line.
Si tratta della tanto odiata Tassa di Scopo, un vero e proprio “strumento di tassazione senza controllo” nelle mani dei Comuni, che possono imporla a loro piacimento ai propri cittadini per finanziare opere pubbliche (arredo urbano, strade, illuminazione, parcheggi, scuole, manutenzioni, ecc.). L’imposta, di fatto, funzionerà come l’IMU, nel senso che si applicherà sulla rendita catastale – aumentata del 60% – di tutti gli immobili di proprietà dei cittadini, con un’aliquota che può spingersi fino al 5 per mille.
La Tassa di Scopo, per chi se lo ricorderà, fu “ideata” dall’allora premier Romano Prodi con la Legge Finanziaria 2007 per garantire ai Comuni in difficoltà uno strumento di autofinanziamento per la realizzazione di alcune opere. L’imposta, che solo i Comuni potevano decidere di imporre ai propri cittadini, prevedeva la tassazione di tutti gli immobili ed i fabbricati, ad eccezione delle prime case che erano escluse dalla tassa.
L’imposta fu reintrodotta poi da Berlusconi nel Decreto sul Federalismo Fiscale del 2011. Ma per la sua applicazione occorreva un regolamento di attuazione da emanare entro il 31 ottobre 2011, regolamento che non fu mai emanato e, pertanto, l’imposta non divenne mai vigente.
Ora ci ha pensato Monti a rispolverarla e reintrodurla con un colpo di mano all’ultimo secondo nel Decreto sulle Semplificazioni. Considerato lo scarso successo che ebbe all’epoca di Prodi (fu applicata in Italia da una ventina di Comuni o poco più, perché giudicata “poco conveniente”, atteso che si poteva finanziare con essa solo il 30% dell’opera pubblica), il governo attuale ha introdotto alcune significative modifiche per convincere e spingere i Comuni ad utilizzarla per “autofinanziarsi”:
1) la tassa potrà essere imposta su tutti gli immobili già tassati dall’IMU e, dunque, anche sulle prime case; 2) l’imposta potrà essere emessa per finanziare il 100% (non più il 30%) di tutte le opere pubbliche (e non solo di alcune), come manutenzioni, restauri, opere per eventi, trasporti, parchi, arredi urbani, ecc.; 3) l’imposta potrà avere una durata massima di 10 anni (e non più 5).
La nuova tassa funzionerà, dunque, così: i sindaci individueranno le opere da finanziare, emetteranno un piccolo regolamento che disciplinerà la tassa, decideranno i tempi di imposizione (fino a 10 anni) e l’aliquota da applicare (max 5 per mille) ed applicheranno la tassa su tutti gli immobili presenti sul proprio territorio.
Insomma, un vero e proprio “bancomat” per i Comuni, come è stato abilmente definito, in tempi in cui gli enti locali non hanno un becco di euro da investire per le opere pubbliche: opere che ora potranno essere finanziate interamente con nuove tasse imposte ai proprietari di immobili. Una sorta di IMU-bis, un “mutuo a fondo perduto” che i comuni potranno richiedere a loro discrezione ai già tartassati cittadini.
Fatta la norma, ora la palla passa ai Comuni: avranno il coraggio di applicare questa nuova imposta?
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fonte: Repubblica.it
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