IL CONIUGE TRADITO HA DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO!
“Basta corna! Ora mi paghi i danni: ti porto in Tribunale!”
È questo il rivoluzionario scenario che si aprirà per migliaia di coniugi traditi dal proprio partner!
Una sentenza epocale quella della Suprema Corte di Cassazione con cui viene stabilito definitivamente il principio della risarcibilità dei danni derivanti dall’infedeltà coniugale: il coniuge che tradisce deve risarcire il danno morale al consorte!
Lo ha precisato la sentenza n. 18853 pubblicata il 15 settembre 2011, che ha riconosciuto, ad una donna tradita dal marito, il diritto al risarcimento dei danni morali.
I fatti traggono origine dalla caparbietà di una signora ligure che il 22 giugno del 2001 citò dinanzi il Tribunale di Savona il marito, al fine di farlo condannare al risarcimento dei danni biologici ed esistenziali causatile dai suoi ripetuti tradimenti. La donna lamentava in particolare “la violazione dell’obbligo della fedeltà coniugale”, che accusava di essere avvenuta per lei in maniera frustrante a causa della platealità e notorietà, nel parentado e fra amici, della relazione tenuta dal marito con un’altra donna. Cosa che le aveva procurato – oltre che l’ovvio risentimento e senso di umiliazione per l’adulterio sofferto, percepito come un affronto alla propria dignità di moglie – anche una serie di complicanze psicologiche e fisiche derivanti dal trauma subito. Il tribunale di Savona respinse la domanda della donna tradita, ritenendo non ricorrenti i presupposti per il risarcimento dei danni morali che sarebbero stati causati dalla relazione extraconiugale del marito. La donna fece appello contro tale sentenza; ma anche la Corte di Appello di Genova, con sentenza del 2006, rigettò il suo ricorso e dunque le pretese risarcitorie.
Ostinatamente la signora impugnò pure la decisione della Corte di Appello, proponendo ricorso in Cassazione nel 2007. Di qui la sentenza odierna che “sconvolge” l’attuale prassi giudiziaria di non riconoscere il diritto al risarcimento dei danni in caso di infedeltà coniugale! Fino ad oggi i tribunali erano stati molto restii a riconoscere il risarcimento del danno al coniuge che chiedeva la separazione a causa dell’infedeltà del partner.
La prassi dei giudici italiani nasceva da una discutibile interpretazione – eccessivamente restrittiva – di un precedente orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione che già nel passato, chiamata ad intervenire sul tema, aveva chiarito che “non tutte le infedeltà devono essere motivo di addebito della separazione e tantomeno fonte di risarcimento del danno”. Sulla scorta di tale orientamento i tribunali italiani hanno rigettato gran parte delle richieste di addebito delle separazioni fondate sulle “scappatelle” dell’altro coniuge, respingendo quasi tutte le richieste di risarcimento avanzate dal consorte tradito, anche nei casi di adulterio lampanti e comprovati.
In realtà l’orientamento della Corte di Cassazione era parso chiaro sin dall’inizio, ammettendo sì la possibilità del coniuge di farsi risarcire il danno in caso di infedeltà matrimoniale, ma lasciando tuttavia ai giudici in sede di separazione ogni valutazione sulla platealità e “decisività” del tradimento: spettava cioè ai singoli giudici verificare caso per caso se l’infedeltà fosse stata la vera ed unica causa della separazione coniugale o non piuttosto la conseguenza di una crisi già in atto, dovendo ammettere solo nel primo caso il risarcimento del danno morale. Ciò nonostante i tribunali, in virtù di assiomi discutibilissimi, hanno continuato, indifferenti, nei tanti processi a escludere di fatto qualsiasi pretesa risarcitoria del coniuge tradito.
La rinnovata posizione giurisprudenziale espressa recentemente dalla Corte di Cassazione, invece, sgombra il campo da ogni equivoco, chiarendo che qualsiasi tipo di infedeltà “che abbia leso la dignità e l’onore del coniuge tradito, rappresenta un illecito civile suscettibile di risarcimento danni”.
Secondo la Cassazione “i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio, non sono di natura esclusivamente morale, ma hanno natura giuridica”. Di conseguenza una violazione di questi doveri non costituisce solamente causa di separazione e di divorzio (con addebito e relative conseguenze, come la perdita del diritto all’assegno di mantenimento e dei diritti successori), ma può anche integrare, ricorrendone i presupposti, causa di risarcimento danni.
In altri termini il tradimento coniugale può avere la stessa valenza di un illecito civile (come il danno da sinistro stradale, per esempio) punito secondo le norme del codice civile, considerato che “nell’ambito della famiglia i diritti inviolabili della persona rimangono tali, cosicché la loro lesione da parte di altro componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità civile”: l’adulterio, in quanto foriero della lesione della dignità dell’altro coniuge, è equiparabile alla lesione all’integrità fisica e alla proprietà, che sono tipici presupposti della responsabilità risarcitoria disciplinata dal codice civile. Tuttavia, la mera violazione dei doveri coniugali non può di per sé integrare automaticamente una responsabilità risarcitoria, dovendosi riscontrare, ai fini del risarcimento, i presupposti sanciti dalla legge: rilevanza costituzionale dell’interesse leso (nel caso specifico “la dignità umana”), lesione grave e giuridicamente rilevante.
Saranno pertanto condannabili con il risarcimento dei danni morali gli adulteri consumati in modo plateale e tali da aver palesemente leso la dignità e l’onore dell’altro coniuge. L’entità e la quantificazione dei danni subiti, sia morali che economici, spetterà al coniuge tradito dimostrarli attraverso gli strumenti utilizzati nell’ambito delle azioni di risarcimento danni (perizie, certificazioni e testimonianze).
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