“Questo Festival va difeso e sostenuto ancora di più, va aiutato sempre, come diceva Truffaut è un Festival necessario”
«Vorrei travestirmi da giurato, passare dall’altra parte, godermi i film e questa bellissima esperienza!». Al Gff l’entusiasmo di Jovanotti esplode tra la folla dei fan impazziti di gioia. L’interprete di canzoni indimenticabili come “L’ombelico del mondo” passa alle Antiche Ramiere per una Masterclass commovente, quasi una confessione a cuore aperto regalata ai ragazzi.
«Il cinema mi appassiona – racconta ad una platea concentrata – perché nella mia vita le immagini hanno sempre contato di più della letteratura. Da ragazzino non amavo i libri, ma ascoltavo e guardavo molto. Ho sempre avuto un approccio visivo all’esistenza. A 10 anni sognavo di diventare un fumettista o un cartoonist mi ispirava “Lupin III”, in disegno il mio voto era dieci». Sul grande schermo guarda ai grandi registi, Truffaut in primis: «“I quattrocento colpi” è uno dei cinque titoli imprescindibili, con “Gli anni in tasca”.
Perché sono pellicole che si confrontano con il tema fondamentale dell’infanzia che è un concentrato di prime volte». Lorenzo parla del tour di “Ora” «uno spettacolo profondamente mio, come un vestito che mi calza alla perfezione, un prolungamento del corpo». Quando arriva alla Cittadella per ricevere il premio Truffaut, risponde divertito a chi gli fa notare di usare delle “s” di troppo in pezzi come “Fango”: «Quando butto giù i testi metto le consonanti che servono, poi quando le canto mi trovo nei guai…». Un lavoro che richiede tempo. «Impiego due anni tra un disco e l’altro. Oggi scrivo sull’i-Pad, ieri sui quaderni. Dopo tanti anni resto ancora disarmato di fronte alla composizione, spesso non c’è romanticismo dietro la genesi di una canzone. Io sono felice quando riesco a trovare un equilibrio sopra un oceano di banalità, è la zona che mi interessa di più esplorare».
Jovanotti è un vortice di emozioni travolgenti: «Faccio quello che mi pare. A volte butto le idee dopo averci ragionato per mesi. E’ tanto liberatorio gettare un’idea. Perché è una legge universale che non si butta mai niente, ogni tanto violarla è bello. Ai giovani che sperano di fare il mio mestiere dico: fatelo direttamente, senza pensarci! E’ importante che un artista insegua i suoi desideri. Il talento è una promessa di continuità nel mondo, è una garanzia per la sopravvivenza che rivoluziona le sorti dell’universo, riapre i giochi. Vivete e basta, fregatevene, succhiate tutto quello che c’è. E non vi lamentate mai perché dipende tutto da voi, dall’energia che ci metterete, e se i frutti non dovessero vedersi, l’impegno profuso sarà il vostro risultato».
Dai segreti dell’animo a quelli della pelle: «Quando ero pischellissimo ero in fissa con i tatuaggi che si compravano in edicola, mamma si arrabbiava perché non si cancellavano mai e mi è rimasta un po’ l’ossessione. E’ un’attrazione adolescenziale ma mi fanno compagnia come amici che conservano dei pezzi di me, mi piacciono. Però non vi tatuate prima dei 20 anni, potreste pentirvene».
Sincerità, Jovanotti va dritto alla verità, persino quando un giurato gli chiede del fratello maggiore Umberto, pilota scomparso 4 anni fa dopo un incidente aereo. «E’ un grande vuoto, mi aveva insegnato tutto, ad amare la musica, mi proteggeva, era un sostenitore entusiasta dei miei progetti. Oggi a lui mi lega un rapporto di amore infinito che non muore mai. Prima lo sentivo al telefono qualche volta, ora è sempre con me». Una altra tappa verso la maturità. «Si cambia continuamente, è il bello della vita. Ma la maturità si è trasformata in qualcosa di più mobile. Forse non si diventa più adulti. Abbiamo questo privilegio di mantenere una scintilla di fanciullezza. Ma crescere è inevitabile: il confronto con i genitori che invecchiano, scoprire che tuo padre non è invincibile, che tua madre si fa piccola e vulnerabile, la consapevolezza che un figlio dipenda da te. Del resto assumersi delle responsabilità, significa letteralmente sviluppare la capacità di rispondere. Ecco, quando sei grande, devi dare delle risposte».
Qualcuno lo definisce ottimista, Lorenzo replica così: «Le parole sono come i luoghi, ci incontriamo nelle espressioni ma veniamo da posti diversi. Il significato che diamo ad una frase è sempre differente, per cui rifuggo le etichette. Non sono ottimista, sono me stesso. Tendo ad affrontare le difficoltà per risolverle con un atteggiamento positivo. Ma vorrei essere percepito nella complessità. L’unica certezza che ho è che proverò a mantenermi autentico. Perché l’arte funziona solo se conserva un lampo di verità».
fonte:GiffoniFilmFestival
Views: 0