Un impianto di Biogas per Altavilla Silentina

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    Altavilla Silentina

    Sarà realizzato ad Altavilla Silentina il primo impianto di Biogas di una delle più importanti aree casearie e di allevamenti bufalini della Regione, l’asse territoriale Serre – Altavilla – Albanella – Capaccio.

    La Provincia di Salerno ha infatti autorizzato in data 15 marzo 2011 il primo impianto di produzione di energia elettrica e termica, alimentato a biogas, del territorio della Piana del Sele e del Calore.

    L’impresa developer che ha progettato e sviluppato l’impianto, portandolo ad autorizzazione, è la società E.R.B.A. – Energia Rinnovabile da Biomasse Agricole S.r.l. di Bari, società di scopo del ben più noto gruppo ICQ HOLDING di Roma, società tra i leader in Europa nel campo delle energie alimentate da fonti rinnovabili e considerata una delle migliori utility italiane specializzate nella produzione di energia da fonte eolica, idroelettrica, biomassa e gas da rifiuti, con progetti sviluppati in tutto il mondo. La ICQ Holding è stata anche una delle prime aziende italiane a sviluppare progetti di “biofuel” (Africa e Brasile) sfruttando alcuni terreni incolti per la produzione di oli vegetali (jatropha e olio da semi di cotone) destinati poi alla commercializzazione e trasformazione a fini energetici.

    A sinistra una piantagione di cotone. A destra la Jatropha. Dai loro semi si produce un utile biofuel oggetto della sperimentazione della ICQ Holding.

    La società che realizzerà e gestirà l’impianto pare sarà la Selenergia S.r.l., una società creata ad hoc ed in cui la ICQ Holding, developer del progetto, ha una quota societaria tramite la controllata E.R.B.A. S.r.l. .

    L’impianto autorizzato, della potenza di 2,5 Megawatt termici e 0,999 Megawatt elettrici, sorgerà nella contrada agricola Olivella di Altavilla Silentina e sfrutterà il biogas generato dalla fermentazione delle biomasse agricole e zootecniche.

    Ma cos’è un impianto di biogas?

    I digestori di un impianto di biogas

    Spesso al centro di polemiche e oggetto di protesta di agguerriti movimenti civici (alimentati dai timori delle popolazioni residenti circa l’impatto ambientale conseguente ad una simile installazione), un impianto di biogas è un impianto che “produce” energia sfruttando la naturale degradazione di masse fermentescibili come i reflui zootecnici, i prodotti agricoli di scarto, il siero del latte ed altre biomasse di natura organica (tra cui anche i rifiuti solidi urbani). In linea teorica e puramente tecnica, la stessa classificazione di “bio” gas dovrebbe essere in grado di fornire ampie rassicurazioni sul metodo biologico (ovvero “naturale”) di produzione del gas, ottenuto dalla naturale fermentazione anaerobica (ovvero in assenza di ossigeno) di sostanze organiche che nel loro processo di degradazione si disidratano rilasciando, come effetto, elementi gassosi. L’energia ricavata dalla biomassa non è soltanto “ecologica”, ma anche molto versatile, considerato che oltre ad energia elettrica da immettere in rete, il processo di trasformazione genera come sottoprodotto anche energia termica (calore) utilizzabile per il riscaldamento di ambienti, di serre, per la produzione di ulteriore energia o come carburante biologico.

    Un impianto di biogas da biomasse agricole e zootecniche, dunque, non fa altro che “sfruttare” gli effetti del naturale processo di fermentazione che avviene in natura, quando si accumula letame o materiale organico in una vasca di decantazione. Il processo di fermentazione, nell’impianto di biogas, al contrario, avviene in ambienti chiusi (fermentazione anaerobica), a temperatura controllata, al fine di “catturare” quella produzione di gas che altrimenti si vaporizzerebbe nell’aria. La generazione di gas dalle biomasse (reflui zootecnici, mais, erba ed altre masse di origine agricola ed organica) la si deve al “lavoro” di microrganismi, che convertono la biomassa (detta così perché “massa di natura biologica”) introdotta in vasche (denominate “digestori anaerobici”) in “combustibile gassoso biologico” (appunto biogas) costituito prevalentemente da metano e anidride carbonica.

    Un impianto di biogas di medie dimensioni

    Il biogas così prodotto alimenta un motore (cd. “cogeneratore” o “elettrogeneratore“) in cui il gas viene bruciato internamente, generando energia elettrica. Dall’intero processo si ricava anche energia termica, come detto, mentre l’energia elettrica prodotta dall’elettrogeneratore viene immessa nella rete Enel attraverso un sistema di cabine di interscambio, rispettivamente di “trasformazione” dell’energia e di “cessione” dell’energia trasformata. Il materiale residuale di questo processo, il digestato ormai disidratato, è costituito da un conglomerato composito di letame e residui vegetali essiccati, utilizzabile in agricoltura come ammendante o compost per i terreni grazie alla presenza di notevoli sostanze nutritive utili: un po’ come era in uso tra i vecchi allevatori della zona, quando essiccavano il letame prodotto negli allevamenti in vasche di deposito, per poi spanderlo a maturazione ultimata (processo di disidratazione) a mò di fertilizzante sui terreni. In altri termini un impianto di biogas è un impianto che rende “risorsa” tutte quelle sostanze che altrimenti sarebbero destinate allo smaltimento “tal quale” (senza trattamenti e processi di disidratazione). Uno smaltimento spesse volte scriteriato e contro legge che ha alimentato in questi anni un fenomeno allarmante di inquinamento da reflui zootecnici, molto diffuso nelle zone ricche di allevamenti. Tuttavia anche la tenuta eco-sostenibile dell’impianto di biogas è direttamente proporzionata, come sempre, alla capacità e coscienza di chi è chiamato a gestire un impianto, legata cioè, indissolubilmente, a fattori come il “tipo” di gestione dell’impianto e i “criteri” di prescelta delle biomasse di alimentazione, quasi sempre “ago della bilancia” nel giudizio sull’utilità o la nocività di un impianto di biogas per il territorio.

    Ma veniamo all’impianto di Altavilla.

    L'immagine dal satellite dell'area, tra Olivella e Quercia Grossa, in cui sorgerà l'impianto (perimetro evidenziato in neretto)
    L'immagine dal satellite dell'area, tra Olivella e Quercia Grossa, in cui sorgerà l'impianto (perimetro evidenziato in neretto)

    L’impianto di biogas della Selenergia sarà capace di produrre 2,5 megawatt di energia termica, prodotta dal calore recuperato dal raffreddamento del motore (cd. “cogeneratore” o “elettrogeneratore”) e dai fumi di scarico: energia che sarà utilizzata in parte per il riscaldamento dei reattori della digestione anaerobica e in parte per la climatizzazione degli uffici dell’impianto e per la produzione di acqua calda (con previsione, per il futuro, di produzione di ulteriore energia elettrica).

    L'area del sito (in alto al confine con le piantagioni) vista dalla strada di Quercia Grossa

    Di circa 1 megawatt di energia elettrica, invece, sarà la capacità di produzione dell’impianto: per comprendere meglio la portata di questi dati tecnici sulla capacità di produzione dell’impianto di Olivella, si può affermare che 1 megawatt è approssimativamente il consumo medio giornaliero di energia di circa 120 – 170 famiglie.

    L’impianto sarà alimentato attraverso l’utilizzo di biomasse agricole e precisamente da letame bufalino (di circa 3000 capi), siero di latte proveniente dalla filiera di produzione della mozzarella di bufala, insilati di mais ed altre colture agricole locali.

    L’impianto, i cui lavori inizieranno nel prossimo giugno con previsione di messa in funzione per l’Aprile 2012, sarà costituito

    • da un’area di stoccaggio dei materiali organici;
    • da una vasca per lo stoccaggio temporaneo della biomassa liquida da inserire successivamente nei fermentatori;
    • da una vasca di alimentazione (cd. “dosatore di alimentazione”) destinata ad accogliere le materie prime conferite giornalmente dagli agricoltori/allevatori convenzionati con l’impianto e che alimenterà man mano i digestori (luogo in cui avviene la fermentazione della biomassa con produzione di gas);
    • da tre vasche di fermentazione (cd. “digestori”) da 4600 metri cubi di capienza ciascuna;
    • da vasche di stoccaggio destinate al deposito dei prodotti finiti (cd. “digestato”).
    Un piccolo impianto di denitrificazione

    Manca, come emerge dalla descrizione dell’impianto autorizzato dalla Provincia, l’impianto di abbattimento dei nitrati (impianto di denitrificazione), principale problematica degli impianti di biogas, in termini di costi per la sua realizzazione, ed elemento di discrimine sulla valutazione del grado di inquinamento producibile da questi impianti con il successivo smaltimento del digestato.

    Gli effluenti zootecnici, infatti, contengono nitrato, un composto che in dosi elevate è nocivo per l’ambiente e per la salute umana. L’inquinamento da nitrati è un preoccupante effetto patito da quei territori, come il nostro, ricchi di allevamenti e che subiscono lo spandimento, in dosi stratosfericamente massicce, di reflui zootecnici (spesso non ancora “maturati”) su terreni e in acque superficiali. Una problematica che sarebbe risolvibile con un pò di coscienza da parte degli allevatori stessi (i reflui vanno sottoposti a trattamento di decantazione-denitrificazione-disidratazione prima di essere sparsi su terreno) e con la costruzione di impianti di denitrificazione capaci di abbattere la dose nociva di nitrati contenuti nelle deiezioni degli allevamenti. Cosa che invece, anche a causa della mancanza di una avveduta e lungimirante politica ambientale (nonché dell’assoluta mancanza di rigore nei controlli da parte delle autorità preposte), non è avvenuta in questi ultimi 20 anni, allorché l’ammontare dei capi bufalini si è più che quadruplicato rispetto al passato, favorendo quell’allarmante inquinamento da nitrati del nostro territorio, dovuto all’incontrollato, alcune volte spregiudicato e massiccio spargimento nei terreni e nei fiumi di tonnellate di reflui “tal quale” (senza cioè alcun tipo di “trattamento”) proveniente dagli allevamenti. Incalcolabili i danni all’ambiente e alla salute con cui sia oggi che, soprattutto, nei prossimi anni dovremo tutti quanti noi fare i conti. Un impianto di biogas può parzialmente risolvere il problema (o può “completamente” risolverlo se dotato di impianto di denitrificazione). Tuttavia, secondo molti, può creare tutt’altre problematiche, connesse con lo sviluppo dell’agricoltura locale e con altri “rischi” legati alle modalità di gestione dell’impianto. Ma questo è un altro discorso.

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