È imprevedibile, non si sa chi colpisce e perché. Una cosa è certa, la sclerosi multipla è la prima causa d’invalidità di origine neurologia nel giovane adulto. Colpisce più le donne che gli uomini e si manifesta tra i 20 e i 40 anni. E il fenomeno è molto diffuso, tanto nostro paese ne soffrono circa 57 mila persone, di cui 700 sotto i 18 anni. Dall’università di Tel Aviv arrivano buone notizie: i ricercatori stanno mettendo a punto un test del sangue per predire la sclerosi multipla fino a nove anni prima della comparsa dei sintomi. Lo studio, pubblicato su Neurobiology of Disease, potrebbe portare a un trattamento molto precoce della malattia. Perché ancora oggi l’unica strada per affrontarla è bloccarla sul nascere con un intervento preventivo.
Lo studio è stato condotto esaminando campioni di sangue di 20 soldati israeliani di 19 anni. Al momento dell’arruolamento tutti erano sani ma, tra questi, nove hanno sviluppato la sclerosi multipla. Il test si basa sull’individuazione di alcuni marcatori chimici che sono in grado di indicare, con un anticipo fino a nove anni, la presenza della malattia. “L’analisi del campione – scrive Anat Achiron, a capo della ricerca – ci ha permesso di confrontare l’espressione genica delle cellule del sangue nelle persone sane, con quelle di chi ha sviluppato la malattia nel corso degli anni. In questo modo abbiamo individuato dei marcatori che caratterizzano sclerosi multipla”. Ma è lo stesso professore Achiron a spiegare: “Non sappiamo ancora come trattare i malati di sclerosi per prevenire l’insorgenza della malattia, ma questa ricerca fa ben sperare perché è come se avessimo provato a individuare la firma di questa patologia”.
Non è la prima volta che un’equipe di medici prova a sconfiggere la sclerosi individuando i geni coinvolti nella malattia. Lo studio Variants within the immunoregulatory Cblb gene are associated with multiple sclerosis, pubblicato a maggio sulla rivista internazionale Nature Genetics, ha individuato una variazione del Dna che aumenta il rischio di sviluppare la sclerosi multipla. L’analisi ha coinvolto un consorzio di ricerca sardo formato dall’Istituto di neurogenetica e Neurofarmacologia (Inn) del Cnr, dalle Università di Cagliari e Sassari, dalle divisioni di Neurologia di Cagliari, Sassari e Ozieri e dal Crs4 per quanto riguarda il calcolo attraverso un supercomputer.
I ricercatori hanno lavorato su 883 malati e su 872 volontari sani, tutti sardi, che hanno donato il proprio sangue. Nelle complesse analisi di laboratorio e di calcolo è emersa una variazione del Dna del gene Cblb che aumenta il rischio di sviluppare la sclerosi multipla. Si tratta di una scoperta che pone le basi per capire in che modo i prodotti proteici dei geni interagiscono tra loro e con l’ambiente nel determinare il processo autodistruttivo che provoca la malattia, ma questo non significa che si sia già tracciata la strada per una terapia.
“I tempi non sono brevi ed è difficile fare previsioni – ha chiarito il direttore dell’Inn-Cnr, Francesco Cucca, coordinatore del progetto -. Si tratta di una linea di ricerca di base per trovare le cause della malattia e nuovi potenziali bersagli per terapie future, ma il percorso è ancora lungo”. “I risultati sono coerenti con studi genetici su modelli animali – ha aggiunto Cucca – Nel topo, l’assenza di questo gene causa l’encelofamielite autoimmune, malattia simile alla sclerosi multipla, indotta sperimentalmente in questi animali”.
La direttrice del Centro di Sclerosi Multipla dell’Università di Cagliari, Maria Giovanna Marrosu, che segue circa 2.500 pazienti, ha ricordato che “la malattia colpisce circa 3 milioni di persone nel mondo e la regione italiana con l’incidenza più alta è la Sardegna: circa 160 casi ogni 100.000 abitanti”. Attualmente altri due consorzi in America e in Australia stanno studiando la stessa materia e per proseguire nella ricerca sarà necessario acquisire nuove risorse finanziarie
Ricerche a parte, resta che per combattere la sclerosi l’unica strada è attivarsi al primo attacco. “La sclerosi multipla può essere scoperta solo dopo un esame neurologico dettagliato. Soltanto con la prevenzione – spiega il professor Carlo Pozzilli, del dipartimento di Scienze Neurologiche dell’università La Sapienza, responsabile del Centro sclerosi multipla dell’Ospedale S.Andrea di Roma – è possibile la remissione della malattia, bloccandone nel 40 per cento dei casi la progressione e la disabilità. Spesso però un giovane non ha la maturità di capire l’importanza di una terapia preventiva”. La conferma arriva dallo studio internazionale BENEFIT. Dopo tre anni, i pazienti che avevano iniziato immediatamente il trattamento mostravano il 41% in meno di probabilità di sviluppare la sclerosi multipla rispetto quanti lo avevano iniziato successivamente.
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