Pipa, sigaro e sigarette. Le grandi scoperte portano spesso la firma di fumatori. Un esempio è il fisico statunitense Julius Robert Oppenheimer. Per le sue doti il governo degli Stati Uniti gli affidò il progetto Manhattan. Era il 1942 e costruì la prima bomba atomica, quella che fu lanciata su Hiroshima e Nagasaki. “Oggi la scienza ha conosciuto il peccato” commentò, e in quegli anni si faceva ritrarre da Life con una sigaretta in bocca. Eppure oggi, uno studio appena pubblicato mette in discussione l’intelligenza di chi dipende dal tabacco. Non solo perché sfida la sorte, mettendo in pericolo la propria salute, ma anche perché il quoziente intellettivo diminuisce quando si fuma molto.
Il legame tra Qi e sigarette è stato indagato da Mark Weiser del Sheba Medical Center di Tel Hashomer di New York e pubblicato sulla rivista Addiction. Gli esperti hanno coinvolto nell’indagine 20.211 reclute militari israeliane di 18 anni, il 58% delle quali fumava già al momento di entrare nell’esercito. Tutto il campione è stato sottoposto ai test standard per misurare il quoziente intellettivo ed è emerso che in media i non fumatori raggiungono un valore di 101, chi non riesce a lasciare il pacchetto di 98. E il dato varia anche in funzione del numero di sigarette fumate: da una a cinque bionde al dì il QI medio è di 94, per un pacchetto al giorno è di 90. Gli esperti hanno anche confrontato il livello d’intelligenza di coppie di fratelli di cui solo uno era fumatore, anche in questo caso è emerso un QI più basso per quello col vizio. “Un’ulteriore dimostrazione – scrivono i ricercatori – del fatto che anche con assoluta parità di background socio-economico e di istruzione, chi fuma ha QI più basso”. E aggiungono, non sono tanto le sigarette a mandare in fumo l’intelligenza, piuttosto è ipotizzabile che coloro che partono da un QI più basso (ma sempre nella norma) sono più propensi a prendere il vizio.
Insomma, stando ai risultati dell’analisi, i cervelli dei fumatori avrebbero potuto dare di più. E Paul McCartney, Albert Einstein, Barak Obama, Mark Twain, Pablo Picasso e tanti altri sarebbero stati una rara eccezione. Mentre le grandi menti dei non-fumatori sono quelle che detengono il primato: il presidente Usa Jimmy Carter, il regista Woody Allen, il genio della matematica Renato Caccioppoli, lo scrittore Daniel Pennac e il pittore Joan Miró. Ma anche gli italiani Rita Levi Montalcini e Umberto Veronesi. L’oncologo, in particolare, ha condotto una vera e propria battaglia contro i danni del fumo. Intelligenza a parte, su rischi correlati al consumo di tabacco non si può discutere. Per il tumore al polmone per esempio esiste un rapporto dose-effetto, e questo vale anche per il fumo passivo. Ciò significa che più si è fumato, o più fumo si è respirato nella vita, maggiore è la probabilità di ammalarsi. È stato dimostrato, secondo l’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro), che un uomo dell’età di 35 anni, che fuma 25 o più sigarette al giorno, ha un rischio di morire di cancro del polmone prima dei 75 anni pari al 13 per cento. E le probabilità aumentano in relazione al numero di sigarette fumate in modo proporzionale diretto (più sono, più sale il rischio), all’età di inizio dell’abitudine al fumo (più si è giovani, più rischi si corrono), all’assenza di filtro nelle sigarette (i prodotti della combustione, come i catrami, contribuiscono in modo rilevante alla patologia). Tuttavia, nei soggetti che smettono di fumare il rischio si riduce nel corso dei 10-15 anni successivi, fino a eguagliare quello di chi non ha mai fumato, se si riesce a smettere per tempo.
Views: 5