Il Blues, la “Star della Musica”, trae le sue origini dalla musica africana e precisamente dai canti di devozione delle popolazioni africane e arabe. È il genere musicale che ha le radici storiche più affascinanti e drammatiche! Nato in seno e in seguito alla schiavitù delle comunità nere del 1800 (deportate principalmente dall’Africa Occidentale, appunto), il canto Blues è la rappresentazione del dolore e della sofferenza di un popolo martoriato: come è stato giustamente definito, il Blues ha rappresentato “la denuncia della comunità nera che trova la forza e il coraggio di esprimere la propria sofferenza in un lamento di dolore e di rabbia, fino a diventare un inno di guerra”.
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Emblematica la frase del grandissimo B.B. King per descrivere cos’è il Blues: “La prima volta che ho incontrato il blues fu quando mi portarono qui su una nave. C’erano uomini su di me e molti altri usavano la frusta … adesso tutti vogliono sapere perché canto il blues“.
Il termine “Blues” deriva dall’espressione anglo-americana “To have the Blue Devils” (avere i diavoli blu), frase con la quale si intendeva far riferimento ad un particolare stato d’animo di una persona, caratterizzato da sofferenza, mestizia, inquetitudine o tenebrosità.
Il colore blue, infatti, convenzionalmente era associato al Diavolo, al dolore, all’infelicità. Questo canto trascinato, incomprensibile (per i “bianchi”), ritmato dalle comunità nere di schiavi durante il lavoro nei campi delle Cotton Belt (le sterminate piantagioni di cotone del sud degli USA), veniva definito in tal modo (Blues) dai “padroni” bianchi, proprio perché considerato come un canto lagnoso, malinconico, oscuro, il “canto del Diavolo” (gli schiavi erano spesso dediti a riti magici, ai riti voodoo, alle iniziazioni, ai culti della Santeria: da qui la banale credenza che questi canti fossero “canti del Diavolo”). L’identificazione fu tale che col tempo il termine finì con il caratterizzare nel complesso la cultura “nera”, nel senso che il termine blues venne usato sempre più per contraddistinguere, in modo generalizzante, lo status di “nero”, la cultura, gli usi e il costume delle popolazioni afro-americane.
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Ritmato sulle navi dei “negrieri” del 18° secolo, come canto di rivolta e di sofferenza degli schiavi stipati nelle stive delle navi, il Blues comincia a diffondersi a mano a mano partendo dalla “nerissima” Louisiana e dall’area del Mississippi: è un genere musicale che si sviluppa principalmente nel sud degli USA, come semplice canto, senza grande strumentazione, accompagnato solo dal battito delle mani, al massimo dal suono di una melanconica armonica e di una corda metallica fissata su di un asse di legno (il cd. “Diddley bows“). Si diffonde agli inizi come canto da lavoro (le “work songs”) ritmato dai lavoratori neri nei campi agricoli, nelle piantagioni, sui cantieri portuali, tra le manovalanze.
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Successivamente, nei primi del ‘900 (e dopo l’abolizione della schiavitù), appaiono i primi cantanti di professione: essendo nato soprattutto come “canto di dolore”, anche in questo periodo persiste, nei brani cantati, la caratteristica della melanconia, tipica delle work songs, una tristezza che al termine di ogni brano si tramuta in speranza di una vita migliore. Solo dagli anni ’20 cominciano ad apparire le prime orchestrine degli antesignani cantanti blues e il contenuto delle canzoni inizia a diversificarsi: il Blues diviene un canto dissacratore, di reazione, autobiografico, che racconta le esperienze della quotidianità dei singoli cantanti e di un popolo ancora ghettizzato. Le case discografiche si avviano ad interessarsi al crescente fenomeno, producendo alcuni dischi degli autori più in voga (Robert Johnson, Leroy Carr, Lonnie Johnson, Bessie Smith, Bill Broonzy, Blind Blake, “Papa” Charlie Jackson, “Mamie” Smith, nomignoli che testimoniano l’origine “casalinga” di alcuni cantanti).
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Dopo la 2^ guerra mondiale, il benessere che investì anche una certa parte della comunità nera consentì ad alcuni bluesman di dotarsi di strumenti elettronici (chitarre elettriche, amplificatori), dando vita al periodo di maggiore commercializzazione del blues: sono gli anni del grande B. B. King, di Louis Jordan, di Jimmy Rushing, di T-Bone Walker, di Muddy Waters ed il Blues è il genere più diffuso in USA.
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Negli anni della modernità il Blues perde il suo slancio commerciale, divenendo un settore musicale di nicchia, anche se finisce per l’influenzare gran parte della musica dal dopoguerra ad oggi: dal jazz al R&B, dal rock al country, saranno tantissimi gli artisti che inizieranno a lavorare ispirandosi al linguaggio musicale dei più grandi autori blues. Gli stessi Ray Charles, Elvis Presley, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jimmy Reed, Stevie Ray Vaughan, Bob Dylan, Peter Frampton, Eric Clapton, autentiche icone della Storia della Musica, e poi i nostri Pino Daniele, Zucchero, Alex Britti e tantissimi altri musicisti moderni, non disdegneranno dall’ispirarsi alle sonorità blues e ai grandi bluesman nelle proprie composizioni. Le contaminazioni – operate da alcuni geniali artisti – tra il blues e i diversi generi musicali storicamente in voga, porta alla creazione di stili nuovi e sempre differenti: negli anni ’50 nascerà il Rhythm & Blues, da cui deriverà successivamente la Soul Music, fortemente influenzata proprio dai ritmi blues (il Soul blues); lo stesso Rock & Roll trova nel blues le radici della propria nascita; come pure influenze blues sono ravvisabili nel Jazz (da cui il cd. Jazz blues), nella musica Country (Country blues) e nel pop e hip hop moderno.
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Dal punto di vista puramente tecnico il sound blues è caratterizzato da tre elementi fondamentali che contraddistinguono la sua riconoscibilità:
– La cadenza ritmica (cd. “beat” o tempo): è a volte lenta e strascicata, a volte più velocizzata e accentuata (soprattutto nel blues elettronico degli anni ’40) ed esprime in entrambi i casi la natura e l’origine di “danza” del blues, contraddistinto da brani, pertanto, sempre ballabili (i primi “balli lenti”, in cui le coppie danzano abbracciate su ritmi più o meno lenti e confidenziali, appaiono proprio con le “ballate blues”).
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– Il canto: fortemente influenzato dalla tradizione gospel, è caratterizzato da ritmi dolci o “forti” indipendentemente, ma comunque mai contraddistinto da tonalità rotonde, vellutate, da note intonate e precise: il blues si distingue per l’uso delle cosiddette “blue notes”, una serie di note musicali suonate e cantate in maniera calante, così da creare un senso di indefinitezza della tonalità, che non è mai lineare, intonata, precisa. Il canto blues, infatti, produce delle dissonanze che ordinariamente definiremmo “stonature” (tant’è che nell’Europa della “ortodossia” musicale il Blues venne molto approssimativamente e negativamente definito “The Music out of tune! ” ovvero la “Musica Stonata”): il canto blues, essendo espressione di stati d’animo, di stati di dolore o speranza, gioia o tristezza, è un canto “lacrimato”, “appassionato”, “lagnoso” o “gioioso”, un canto in cui, quindi, la perfezione stilistica, la pulizia della tonalità non può trovare spazio; e dunque le “stonature” e l’assenza di tonalità lineari sono una componente essenziale (si pensi, p. es., al modo di cantare “stonato” di alcuni artisti blues come Joe Cocker o Zucchero).
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– La strumentazione: come stile musicale “nato povero”, la strumentazione del blues nei primi tempi è limitata all’uso di una striminzita armonica e di una rudimentale chitarra ad una corda (il cd. Diddley Bows). Solo successivamente si arricchirà di chitarre, una batteria, qualche amplificatore, in alcuni casi il basso, oltre alla classica armonica, ma mai di più (sebbene in epoca moderna alcuni artisti introdurranno anche altri strumenti a fiato e a corda). La ragione di una così povera e non diversificata strumentazione sta, oltre che nelle radici storiche del genere, anche nel fatto che con gli strumenti elettronici in voga negli anni di diffusione del Blues, non poteva essere realizzata la tipica tecnica della dissonanza (la “stonatura”), operata con la classica tecnica manuale del “bending” ovvero con il rapido movimento della mano che curvandosi o piegandosi, strozza all’improvviso il suono lineare dello strumento (un esempio di “bending” moderno sono i virtuosismi che solitamente fanno con la chitarra acustica ed elettrica Alex Britti o Pino Daniele).
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APPROFONDIMENTI
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